Skip to main content

La Comune di Ferrara | Femminile, Plurale, Partecipata

Autore: admi2

L’ELEGANTE NECESSITÀ DELL’ECOLOGIA

Chiamiamoli pure benefici ecosistemici, ma si tratta di una mera necessità!

“Probabilmente abbiamo bisogno dell’Ecologia, perché l’Ecologia è una scienza elegante, relazionale, democratica e onesta”: questo penso, in fondo, se mi si chiede quali siano i benefici che ci vengono dalla Natura.

L’Ecologia è onesta… perché dice sempre la verità, anche se scomoda. Puoi negare un incidente a Chernobyl per qualche giorno, ignorare l’amianto cancerogeno o il DDT per qualche anno, oppure, per qualche tempo, non parlare degli invisibili e sfuggenti PFAS e dei loro drammatici effetti ormonali, ma il metodo scientifico troverà la verità ecologica. Corrotti scienziati ritardano il processo, ma è solo questione di tempo!

L’Ecologia è democratica… perché uno vale uno, perché tutti partecipano e tutti contano per quello che valgono; è collettiva, plurale, priva di sovrastrutture e artifici.

L’Ecologia è relazionale… perché si occupa di connessioni tra le diverse parti: di come una certa pianta sia adatta alle rocce, di come i batteri degradano sostanze inquinanti o fissano l’azoto atmosferico, di come la sostanza organica rientri in circolo grazie a speciali funghi.

L’Ecologia è elegante… perché se ne segui il percorso, capisci gli ‘incastri’ di tutte le tessere che formano il mondo vivente (la biosfera): lentamente il mosaico si compone, acquisendo un senso autoevidente. Soprattutto, il mosaico ecologico si anima di relazioni ben più complesse di qualunque artificio umano.

Ma cosa sono i benefici ecosistemici? Nulla di nuovo: si tratta del dispiegarsi delle leggi della Natura, con i grandi cicli che abbiamo studiato fin dalle scuole elementari: la fotosintesi, la formazione della sostanza organica, il ciclo delle acque… Sono le nozioni che le nostre maestre ci hanno spiegato da piccoli, nozioni che poi accantoniamo quando diventiamo grandi, invece di tenerne conto.

Mi piace chiamare questa schizofrenia, questo autoinganno, “il tarlo di Prometeo”: armati di pollice opponibile, stazione eretta, linguaggio simbolico, cultura e di  una grande considerazione di noi stessi, noi umani siamo partiti dall’Africa per conquistare l’Universo-mondo, dimenticando i limiti della nostra unica Terra. Come Prometeo ha rubato il fuoco, continuiamo a rubare compulsivamente, a misurare, stimare, contabilizzare, accatastare, valorizzare, accrescere bulimicamente… rosi da un tarlo di dominio e controllo che ci condanna alla perenne instabilità dell’insicurezza.

Come occidentali siamo convinti di essere al centro di un progetto superiore e di conseguenza ci sentiamo legittimati a ‘fare e disfare’, a decidere le sorti (progressive?) delle generazioni future, a ridisegnare il paesaggio attorno a noi, maldestri architetti mai iscritti all’Albo professionale dei creatori. In modo un po’ ridicolo, progettiamo paradisi artificiali e finiamo per vivere – quando va bene – in monolocali da Purgatorio, con aria climatizzata e schermi che proiettano montagne, mari azzurri e caminetti scoppiettanti.

Da tempo la scienza si interroga su come trovare modalità più efficaci nel parlare alla gente comune, su come tradurre a chi decide in politica i risultati collettivi delle ricerche e delle grandi istituzioni scientifiche, su come le acquisizioni della scienza stessa possano essere utilizzati e tradotti in azione sociale e politica. Personalmente penso che dobbiamo lavorare di più su bellezza, empatia, giustizia e sulle storie di Natura, ossia sulla nostra attitudine ad entrare nella storia e a prenderne parte.

Sappiamo bene che molti valori (uguaglianza, giustizia, solidarietà…) detengono un primato che riguarda tutto e tutti; sappiamo anche che la scienza poco può su molte questioni fondamentali, sappiamo che la tecnocrazia è male… ma sarebbe illogico non considerare anche le informazioni di una scienza indipendente e solida. Ascoltiamo dunque l’allarme rosso lanciato dalla scienza sulla salute nostra e del pianeta. Non sono notizie qualsiasi.

Per ora non ha funzionato. Il risultato è quasi sempre stato una formidabile “melina” (i cambiamenti ci sono sempre stati, perché la Cina…, dove mettiamo i pannelli, dove prendiamo il litio, troveranno la soluzione, come facciamo con gli operai…), un traccheggiare all’ordine del ben noto ‘facite ammuina.’

La piccola, nordica Cassandra dei nostri tempi, Greta Thunberg, ci ricorda petulante che la casa è in fiamme, ma i grandi del mondo sembrano affaccendati in altro: dichiarano che manderanno i Vigili del Fuoco, i tecnici, gli esperti, forse anche l’esercito; dicono che si stanno aprendo nuove opportunità di crescita per chi saprà rinnovarsi e cambiare la propria pelle. Per prendere tempo hanno anche inventato una serie di parole nuove, tanto lunghe quanto semanticamente inutili: sostenibile, circolare, resiliente, transizionale. Quasi nessuno dice la dolorosa verità, ossia che viviamo al di sopra, molto al di sopra delle nostre possibilità, determinando un debito ecologico che diventerà l’incubo dei nostri figli.

A darci una mano potrebbe pensarci la Natura stessa, con i suoi benefici ecosistemici, infiniti ed ipercomplessi, difficili da pensare, dunque da individuare. Certamente questa straordinaria e ignota complessità riguarda tutti noi, è essenziale, va conosciuta e rispettata: pensate, si stima che ognuno di noi ospiti un milione di specie diverse di funghi, protozoi, batteri, virus. Avete letto bene: oltre 1.000.000 di specie differenti! Gli esemplari di questo ecosistema umano… nemmeno proviamo a contarli (parliamo di microbiota, di flora batterica). La scienza ci dice che la nostra salute dipende da questa complessità in equilibrio, che dipende da un ambiente sano, che un’agricoltura di qualità viene solo da sistemi vitali, senza trattamenti ‘fito farmacologici,’ che la depurazione delle acque viene dal mondo vegetale e microbico, che il microclima dipende dall’ecosistema urbano che sviluppiamo nelle nostre città…

Detto questo, riprendo e rettifico il mio pensiero iniziale dicendo, senza dubbi, che abbiamo bisogno dell’Ecologia perché l’Ecologia è una scienza elegante, relazionale, democratica e onesta.

David Bianco, pensando ad Anna Zonari

Anna Zonari

Ho 53 anni e una figlia di 19 al primo anno di Università.
Sono psicologa clinica e di comunità.
Dopo la laurea ho conseguito un Master in Terapia Breve Strategica presso il Centro di Terapia
Breve Strategica di Arezzo diretto dal dott. Giorgio Nardone.

Ho lavorato per vent’anni in libera professione, aiutando le persone ad affrontare i frequenti
problemi relazionali o legati all’ansia e al senso di inadeguatezza nel fronteggiare le fatiche della
vita. Dal 2004 sono dipendente del Centro Servizi per il Volontariato – ora Terre Estensi – in qualità
di responsabile dell’area Supporto Organizzativo e Sviluppo degli Enti di Terzo Settore delle
province di Ferrara e Modena.

Per una decina d’anni sono stata volontaria alla Caritas parrocchiale del paese in cui ho vissuto a
lungo, Tresigallo.
Tra i progetti più rilevanti di cui mi sono occupata negli ultimi dieci anni ricordo in particolare l’avvio
degli empori solidali di Ferrara, Codigoro e Argenta, dove attualmente alcune migliaia di persone
trovano beni di prima necessità ma ancor prima volti accoglienti, quelli di decine di volontarie e
volontari. Progetti di comunità come questi, a cui collaborano tantissime organizzazioni del
Pubblico, del privato sociale e del mondo profit, sono preziosi esempi di sussidiarietà circolare.

Coordino l’Università del Volontariato di Ferrara e Modena, dove sono anche docente di alcuni corsi
sui metodi per il buon funzionamento dei gruppi di lavoro. Non basta formare squadre di lavoro
perché siano efficaci. Essendo i gruppi basati sulla relazione, anche qui servono attenzione, metodo
e cura.

I miei genitori, entrambi insegnanti, mi hanno trasmesso l’amore per la coerenza, la correttezza e,
quando si crede in qualcosa, la volontà di ‘metterci la faccia’ e la passione. Ho un fratello e una
sorella che amo molto: lui è pittore e lei OSS, Operatrice Socio-Sanitaria.

Sono attivista e promotrice dell’equipaggio di terra ferrarese di Mediterranea Saving Humans, che a
tre anni dalla sua nascita ha quintuplicato i tesseramenti, segno che molte donne e molti uomini
rifiutano di voltarsi dall’altra parte quando si tratta di violazione dei diritti umani, sistematicamente
attuata alle frontiere di quella che ormai è diventata la Fortezza Europa.
Ho partecipato attivamente alla nascita del movimento Parents For Future Italia, perché molto
preoccupata per il futuro delle giovani generazioni. Nel 2022 ho promosso una campagna di
raccolta fondi a cui hanno partecipato 200 donatrici e donatori – tra cui moltissimi ferraresi – che
ha permesso il salvataggio di 24 ettari di foresta dell’Appennino romagnolo.

Nella vita, quel che più mi appassiona sono le persone: le loro storie, le loro sofferenze, ma anche
capacità che hanno di affrontarle, soprattutto grazie all’ascolto sincero, all’accoglienza, alla
pazienza. Qualcuno parla di politica della cura. Mi piace questa espressione. Interpreta il modo in
cui da sempre concepisco la politica, ovvero come impegno civico che deve partire
prevalentemente dal basso, nella società civile, nel volontariato, nei comitati e nei movimenti, non
solo in termini di denuncia delle tante diseguaglianze ed ingiustizie, ma anche con la costruzione di
progetti concreti per le persone e la comunità.

Amo camminare nelle foreste dell’Appennino romagnolo in solitaria, con il mio zaino in spalla, la
bellezza della natura negli occhi e il canto degli uccelli nelle orecchie.
La natura, oltre ad offrire gratuitamente benefici eco-sistemici indispensabili per la nostra
sopravvivenza psichica e fisica, è una grande maestra. Quando ho dei pensieri, dei dubbi o mi
sento troppo stressata, mi immergo nei miei boschi e ritrovo la giusta misura delle cose.

CONSIGLIO COMUNALE DEI RAGAZZI E DELLE RAGAZZE

La crisi di partecipazione democratica nel nostro Paese ha cause diverse: fra queste ci sono sicuramente la sfiducia dei cittadini nel meccanismo della delega e il loro scarso coinvolgimento nei processi decisionali.

Per ovviare a tali importanti mancanze, una fra le proposte da mettere in atto è quella di creare più occasioni di ascolto e di partecipazione, a partire dai cittadini più giovani.

Un’occasione, prevista dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dalla nostra legislazione (art. 3 e 7 della legge n° 285 del 1997), potrebbe essere l’istituzione di un Consiglio Comunale dei Ragazzi e delle Ragazze.

In molti comuni italiani già esistono esperienze significative.

Questo potrebbe rivelarsi un organismo importante per educare gli studenti e le studentesse alla partecipazione e alla cittadinanza consapevole; sarebbe un luogo di incontro, di confronto e di discussione per elaborare proposte, per esprimere pareri, per collaborare a prendere decisioni.

Potrebbe essere istituito dal Comune di Ferrara ed essere formato da rappresentanti degli studenti e delle studentesse dalla classe terza della scuola primaria fino alla classe terza della scuola secondaria di primo grado.

Il Consiglio potrebbe essere coordinato da un adulto facilitatore e potrebbe deliberare in via consultiva su materie legate alla scuola, all’ambiente, alla mobilità sostenibile, allo sport, alla salute, al patrimonio culturale, al contrasto al bullismo, al cyberbullismo e alle discriminazioni.

Affinché tale organismo non rimanga soltanto un fiore all’occhiello dell’Amministrazione Comunale ma abbia la possibilità di realizzare i suoi progetti, sarebbe necessario che avesse a disposizione un proprio finanziamento.

Mauro Presini, maestro

1° MAGGIO – Anna Zonari

Il 1° maggio è la festa delle lavoratrici e dei lavoratori.

Nel programma che mi appresto a presentare come candidata Sindaca, il  tema del lavoro ha un ruolo fondamentale

Occorre un Patto per e con le giovani generazioni, predisponendo e  supportando contesti capacitanti e condizioni che rendano il nostro  territorio accogliente, sicuro, attrattivo e in grado di generare  occupazione di qualità, senza lasciare indietro nessuno e nessuna.  Occorrecontrastare il lavoro nero e limitare quanto più possibile il  precariato, collaborando attivamente alla prevenzione e alla repressione dell’evasione fiscale.

Occorre praticare un’Amministrazione condivisa, che utilizzi la co programmazione e la co-progettazione al fine di creare un sistema  territoriale concretamente in grado di “mettere a terra” gli obiettivi  dell’Agenda 2030 e il Piano per il Lavoro e per il Clima.  Occorre generare innovazione tramite collaborazioni strette con scuola,  Università, imprese e Centri di Formazione Professionali. Potenziare le  connessioni e l’accessibilità con nuove infrastrutture, riducendo la  frammentazione del territorio. Promuovere e facilitare collaborazioni e  progetti tra gli Istituti Tecnici, l’Università, le società che operano nel Polo  chimico e le società che gestiscono i servizi pubblici locali del territorio  per creare opportunità di transizione alla chimica verde.

Il lavoro deve rimanere strettamente intrecciato con la sicurezza, intesa  non soltanto come tutela della salute negli ambienti di lavoro (che troppo  spesso viene a mancare), ma anche con condizioni lavorative accettabili:  ad esempio, dando la possibilità alle lavoratrici che decidono di avere figli  di usufruire della legge di tutela della maternità e ai lavoratori  dell’astensione retribuita per la cura dei figli. La tutela della maternità e  della paternità è infatti sottovalutata in molti settori, e questo va anche a  scapito della tenuta delle istituzioni che si occupano dell’infanzia.

La retribuzione adeguata è una questione di grande rilevanza: basti  pensare a intere categorie di lavoratrici e lavoratori, perlopiù a carattere  stagionale, che spesso hanno redditi non equiparati al lavoro svolto  (spesso in nero) o a categorie che hanno competenze specifiche di alta  professionalità che non vengono loro riconosciute.

La nostra Repubblica, come dichiara l’articolo 1 della Costituzione  Italiana,è fondata sul lavoro: sarebbe perciò necessarioconcentrare  l’attenzione e la discussione su questo tema, e altrettanto necessario che  le riflessioni che ne scaturiscono vengano conseguentemente applicate nei  processi produttivi, per restituire dignità e consapevolezza a questo  importante principio.

Anna Zonari

Candidata Sindaca per La Comune di Ferrara

DEMOCRAZIA COME PARTECIPAZIONE: LE ASSEMBLEE DEI CITTADINI

La partecipazione dei cittadini al miglioramento della vita delle comunità dev’essere effettiva e non ridotta a slogan, e le loro proposte devono avere un peso reale nelle decisioni di governo.

Per affrontare i cambiamenti climatici e sociali bisogna ripensare il modello di città. Quello attuale, basato sui valori immobiliari e sulle strutture produttive del secolo scorso mostra limiti molto evidenti. Ma bisogna farlo insieme ai cittadini, che vanno fattivamente coinvolti nelle decisioni che riguardano il futuro della città.

È necessario ridefinire e innovare i processi di partecipazione democratica al governo cittadino, al fine di condividere le priorità e le finalità delle future scelte di trasformazione e innovazione.

La partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni politiche può contribuire a creare condizioni che favoriscano la giustizia sociale ed ecologica, intrecciando il contrasto alla crisi climatica con la lotta contro le diseguaglianze, al fine di rendere le città più vivibili.
Sappiamo che i grandi cambiamenti necessari per affrontare la crisi climatica saranno possibili in tempi rapidi solo se condivisi con i cittadini, che non sono più disposti ad accettare politiche che comportino cambiamenti e sacrifici significativi imposti dall’alto.
Ma le decisioni politiche sono spesso bloccate (quindi non in grado di prendere le decisioni necessarie alle trasformazioni) dagli interessi economico-produttivi, e continuano a percorrere la strada fallimentare della crescita e del neoliberismo, anziché indirizzarsi verso l’interesse della collettività.

Va dunque avviato un processo che porti al progressivo trasferimento del potere decisionale dalle istituzioni ai cittadini in merito a tutte le questioni rilevanti per la costruzione del benessere collettivo. Solo così la cittadinanza attiva potrà diventare realtà. In altre parole, non basta informare e consultare i cittadini, bisogna “decidere insieme”.
Purtroppo finora i processi partecipativi sono stati per lo più deludenti, perché intesi come mera informazione o consultazione dei cittadini, e non di co-progettazione e decisione.

Le Assemblee dei Cittadini rappresentano lo strumento democratico in grado di favorire un reale esercizio di partecipazione. Tra i molti modelli partecipativi, le Assemblee dei Cittadini (così come immaginate da Marcin Gerwin) sono lo strumento di democrazia deliberativa maggiormente diffuso e di maggior successo nel mondo. Tuttavia in Italia sono ancora poco conosciute e diffuse: finora il modello è stato applicato soltanto nei comuni di Bussi (PE), Milano e Bologna.

Queste Assemblee costituiscono una nuova istituzione democratica da affiancare ai governi nazionali, regionali e comunali. Un campione di cittadini, rappresentativo dell’intera società, viene sorteggiato per analizzare e indirizzare le questioni di interesse generale. Il gruppo è chiamato ad affrontare un argomento, ad approfondirlo con l’aiuto di esperti, a confrontarsi con tutti i portatori di interesse legati al tema, a dibattere e a deliberare, producendo alla fine del processo una documentazione che contiene le loro idee, proposte, raccomandazioni.

Gli aspetti particolarmente interessanti (e in grado di fare la differenza) di questo nuovo strumento di democrazia partecipativa e deliberativa sono:

IL SORTEGGIO: i cittadini vengono scelti tramite un campionamento casuale e stratificato, ossia vengono selezionati attraverso un’estrazione casuale dalle liste anagrafiche, che mira a ricreare all’interno del gruppo gli equilibri e le dinamiche presenti nella società in termini di genere, età, istruzione, residenza ecc. I partecipanti, diversamente da quanto avviene all’interno dei tradizionali strumenti partecipativi, sono rappresentanti reali dell’intera popolazione.

LA FORMAZIONE: durante la prima fase vengono organizzati incontri con esperti della materia oggetto dell’Assemblea, chiamati a presentare, in misura paritaria, un numero quanto più vasto possibile di posizioni, istanze e orientamenti sul medesimo tema, offrendo un quadro completo, bilanciato e diversificato. Le decisioni vengono prese sulla base di precise conoscenze.

IL CONFRONTO: dopo il periodo di formazione seguono una fase di ascolto e confronto di tutti i portatori di interesse, dei comitati e delle associazioni della società civile e una serie di incontri aperti al pubblico. I partecipanti vengono in questo modo a conoscenza di tutte le posizioni in campo.

IL METODO COLLABORATIVO: ai membri dell’Assemblea viene assegnato il compito di collaborare per valutare i problemi e trovare soluzioni. Facilitatori professionisti e indipendenti garantiscono che tutti i membri abbiano voce in capitolo e che tutte le opinioni siano ascoltate. Si crea così un clima di collaborazione che motiva e sostiene le persone a trovare soluzioni condivise, anche partendo da posizioni diverse. Le decisioni vengono prese collettivamente, con votazione finale, attraverso un processo partecipativo e costruttivo, non di contrapposizione.

IL POTERE DECISIONALE: al termine del processo avvengono le deliberazioni finali, le votazioni sulle varie proposte e raccomandazioni emerse in Assemblea, e la loro presentazione, tramite un report, alle Istituzioni. Quello che differenzia le Assemblee dei Cittadini da altre forme di partecipazione è che, entro un tempo definito, le Istituzioni devono offrire un riscontro e dichiarare pubblicamente se intendono approvare, modificare o respingere le proposte elaborate dall’Assemblea.

Come afferma Norberto Bobbio, il legame tra democrazia e partecipazione è inscindibile e, nella sua forma ideale, la democrazia si realizza proprio attraverso la partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica dello Stato.

La Redazione

IL VIGILE DI QUARTIERE

I Vigili Urbani armati (ossia la Polizia Municipale) che in auto fanno le multe per divieto di sosta svolgono una funzione certamente utile, ma non sono sentiti dai cittadini come interlocutori affidabili in tema di sicurezza.

Il “Vigile di quartiere” al contrario, ossia il vigile che percorre le strade dei quartieri, si è rivelato essere un punto di riferimento affidabile per le esigenze dei cittadini.
A lui (o lei) si rivolgevano specialmente i residenti anziani, per segnalare problemi in materia di sicurezza, manutenzione, arredo urbano, traffico… Possiamo intenderla pertanto come una importante figura di prossimità e di riferimento per un’intera comunità di persone. Questo servizio va ripristinato, destinando ad esso parte del personale esistente nel corpo dei Vigili Urbani o costituendo un servizio apposito di “ausiliari alla sicurezza” (così come già esistono gli ausiliari del traffico).

Il servizio del “Vigile di quartiere”, da avviare in ogni quartiere della città e nelle frazioni, deve far capo a un Assessorato alla Sicurezza che coordini il servizio, anche registrando i rapporti che i vigili sono tenuti a compilare sulla base delle osservazioni dei cittadini.
Il servizio del “Vigile di quartiere” potrà essere affiancato (come in passato) da un analogo Poliziotto o Carabiniere di quartiere, previo accordo formalizzato dal Comitato Provinciale per la Sicurezza Pubblica, presieduto dal Prefetto.

Il Vigile Urbano deve tornare ad essere considerato un aiuto affidabile per risolvere i problemi dei cittadini, un rappresentante del Comune che interloquisce e ascolta, e non un dipendente comunale che ha come unico scopo quello di redigere contravvenzioni.

La Redazione

25 APRILE 2024: QUARTO ANNO DI CHIUSURA DEL MUSEO DEL RISORGIMENTO E DELLA RESISTENZA

Digitando “Museo della Resistenza Ferrara” sul sito del Comune, compare questa comunicazione: “Il Museo è chiuso al pubblico fino a data da destinarsi per trasferimento sede”.
Nell’estate del 2020, tutto ciò che conteneva è stato rimosso, gli uffici trasferiti a
Porta Paola fino a data da destinarsi in attesa della nuova sede, individuata nel Palazzo Pico Cavalieri, la cui ristrutturazione è in corso dall’estate del 2023.
Negli ex spazi del Museo si trova da tempo il bar di Palazzo dei Diamanti. Si poteva scegliere di spostarlo in altra sede idonea o di lasciarlo in un limbo. È stata scelta la seconda opzione: il limbo.

25 aprile 2024: chiediamo che la riapertura del Museo del Risorgimento e della Resistenza diventi una priorità, con l’individuazione di una sede adeguata per dare finalmente alla città un museo sulla sua storia in un luogo ampio, con spazi per la didattica.
Chiediamo che chi oggi si occupa di ricerca e documentazione storica sia messo nelle condizioni di poter utilizzare gli strumenti di cui la città già dispone, per sopperire alla perdita del patrimonio umano e morale costituito dai partigiani. Senza sede fisica, il Museo non può esprimere le sue potenzialità di divulgazione e informazione e formazione.

La memoria storica dell’antifascismo e della Resistenza dev’essere uno strumento per interpretare il presente! Antifascismo è una parola importante, che va pronunciata, promossa e praticata con ogni mezzo a nostra disposizione.
Si tratta di chiedersi cosa significa oggi riconoscere e prevenire le radici del fascismo, e farlo interpellando la realtà che viviamo: tutelando la libertà di espressione e il pluralismo, difendendo le minoranze e riducendo le ingiustizie, denunciando le discriminazioni e la repressione del dissenso.

Il “Museo del Risorgimento” è stato inaugurato nel 1903, in onore dei patrioti ferraresi Giacomo Succi, Domenico Malagutti e Luigi Parmeggiani: raccoglie armi, uniformi, cimeli, fotografie, manifesti e documenti ferraresi e nazionali dei secoli XIX e XX. Nel 1954 è stata aggiunta la sezione dedicata alla Resistenza italiana; in quell’occasione, ha cambiato nome in “Museo del Risorgimento e della Resistenza.”

Durante questi ultimi (faticosissimi) quattro anni, il Museo ha continuato a collaborare con le scuole superiori della città: i risultati sono la coraggiosa mostra “Tutti colpevoli, tutti assolti” sulle atrocità compiute dal regime fascista nel periodo coloniale, realizzata in collaborazione con il Liceo “L. Ariosto” e il recente progetto di PCTO con una classe dell’Iti “Copernico-Carpeggiani”, che ha consentito di impostare un programma informatico di catalogazione e visione dei materiali del Museo che al momento giacciono nei depositi. Importanti sono state anche le collaborazioni con l’ANPI e con l’Istituto di Storia Contemporanea.

Senza una sede, però, le potenzialità di un Museo che potrebbe e dovrebbe ampliare la propria attività di ricerca e di divulgazione sono di fatto quasi azzerate, nonostante l’impegno di chi ci lavora. Quest’anno Ferrara festeggerà per la quarta volta la Liberazione con il Museo ancora privo di una sede.

Giovedì 25 aprile alle ore 12.00 appuntamento in Corso Ercole I D’Este 17, davanti all’ex sede del Museo per chiederne la riapertura in un luogo idoneo, dove possa esercitare la sua fondamentale funzione educativa.

Viva l’Italia antifascista!

Anna Zonari
Candidata Sindaca di Ferrara

IL WELFARE DI COMUNITÀ SI FA CON UN’AMMINISTRAZIONE CONDIVISA

IL WELFARE DI COMUNITÀ SI FA CON UN’AMMINISTRAZIONE CONDIVISA

In questa società, sempre più complessa e con un welfare pubblico in costante difficoltà, è urgente ripensare le politiche sociali in un’ottica di collaborazione e integrazione con tutte le realtà del territorio.

Se si pronuncia la parola ‘welfare’, infatti, è impossibile non collegarla alle associazioni di volontariato, di promozione sociale e al mondo del Terzo Settore. Sul territorio ferrarese sono fortunatamente presenti moltissimi volontari, dotati non soltanto di spirito altruistico ma anche di saperi e competenze necessarie per leggere e lavorare in questa realtà, sempre più multidimensionale e in continuo mutamento. 

Spetta all’Amministrazione indirizzare e decidere quali debbano essere il loro ruolo e la loro funzione, a seconda dei bisogni della comunità e a partire dalle cittadine e dai cittadini più fragili: partner alla pari e alleati fondamentali nella costruzione delle politiche sociali o semplici delegati che suppliscono alle carenze del sistema pubblico?

Oggi sentiamo parlare sempre più spesso di co-programmazione, co-progettazione e amministrazione condivisa. Ma cosa significano davvero?

Al di là dei tecnicismi, alla base c’è un concetto molto semplice: la comunità, unita, si prende cura di sé stessa. 

Il punto di osservazione di operatori/operatrici, volontari/volontarie delle associazioni, infatti, è privilegiato soprattutto per quanto riguarda le persone più vulnerabili, che rischiano di essere emarginate ed escluse dalla vita della comunità. Privilegiato perché essi  si trovano quotidianamente a contatto con l’altro, non soltanto con i suoi reali bisogni ma con le sue risorse (concetto fondante del welfare generativo è vedere ogni individuo in primis come portatore di risorse), con le sue aspirazioni di vita e con la sua storia. È come se, accanto alle istituzioni, operatori e operatrici, volontari e volontarie fossero chiamati a tutelare e ad attuare il principio di uguaglianza e autodeterminazione di tutti.

Ci piace immaginare che a Ferrara venga promosso un dialogo che riunisca volontari/e, operatori/operatrici sociali e Amministrazione per co-programmare e co-progettare, attraverso un confronto che individui e condivida, nel loro evolversi, le principali necessità di cittadine e cittadini, le strategie più adatte per dare risposta a tali necessità e le risorse che ciascun soggetto può mettere in campo, ognuno dal proprio punto di osservazione in un rapporto alla pari, basato sulla collaborazione e sul riconoscimento reciproco.

È di fondamentale importanza creare spazi in cui operatori, operatrici, volontari e volontarie possano portare il loro contributo, derivato dall’osservazione quotidiana, perché per promuovere progetti efficaci bisogna sapere come vivono i propri concittadini e quale sia il loro reale stato di salute e benessere.

Gli spazi di confronto e dialogo dovranno essere estesi a tutti gli attori sociali, così come alle altre Istituzioni pubbliche e al cosiddetto “mondo profit”, in quanto le politiche si costruiscono a partire dalle risorse già presenti sul territorio, connettendo e integrando i diversi mondi e abbandonando il modello ormai obsoleto e inadeguato dei “compartimenti stagni”, che non ci possiamo più permettere.

Al di là delle leggi e degli istituti giuridici, infatti, oggi siamo chiamati ad affrontare una grande sfida, perché ci viene chiesto di essere pionieri di una vera e propria rivoluzione culturale: una rivoluzione che ci chiede di allenare lo sguardo alla sostanza delle cose e non alla forma, nella consapevolezza che Ferrara è una comunità matura per poter prendersi cura di sé stessa. Ed è proprio questa consapevolezza che contraddistingue un territorio virtuoso, in grado cioè di individuare le risorse e di valorizzarle, creando rapporti e legami basati sulla fiducia affinché ciascuno e ciascuna di noi, pur nel rispetto dei ruoli diversi e delle diverse specificità, sia messo in grado di lavorare per il raggiungimento di un obiettivo comune, più grande della semplice somma dei singoli.

La Ferrara che desideriamo è una Ferrara in cui ogni singola persona si sente accolta, importante, vista nella propria specificità. Per poter essere davvero inclusiva, sarà la cultura sociale a dover mutare, adattandosi alle peculiarità delle persone, e non il contrario. Se l’Amministrazione Comunale non prende in considerazione questi fattori sostanziali, il numero delle persone in condizioni di fragilità e a rischio di esclusione da un modello di società performante, che pone paletti sempre più restrittivi e discriminanti tra “chi è dentro e chi è fuori”, certamente aumenterà.

Giulia Fiore
sociologa, operatrice sociale
Candidata nella lista de La Comune di Ferrara