Il Quartiere Giardino e la bella modernità che si sta perdendo un po’ per volta
Intervento del professor Romeo Farinella sulle interrogazioni di Anna Zonari: “Occasione per aprire un dibattito su questo quartiere bello ma malandato”
di Romeo Farinella*
Le interrogazioni della consigliera Anna Zonari sulla privatizzazione di un’area verde del quartiere Giardino apre una riflessione interessante e, partendo da un problema localizzato, ne apre uno più ampio. Il tema è noto, Acer ha venduto un suolo residuo corrispondente a un giardino interno di un isolato ad un privato che intende farci un parcheggio, non si sa come, tagliando gli alberi e asfaltando? L’Amministrazione su questo non ha risposto. Le ragioni di Acer sono state rese note da un comunicato pubblicato dalla stampa, ma il problema è più complesso e come al solito riguarda cosa si vuole fare di questa città e dei suoi spazi verdi e, in particolare, cosa ne vuol fare l’amministrazione cittadina.
Il Quartiere Giardino è un quartiere del Novecento con un alto valore storico-urbanistico ed è un ibrido che riassume idee riferibili alla città giardino di Ebenezer Howard, alla Parigi del prefetto Haussmann e alla Barcellona di Ildefonso Cerdà. È il frutto del progetto di una serie di tecnici colti che forse Ferrara dovrebbe celebrare di più, ma sappiamo che Ferrara ha avuto in questi decenni delle difficoltà a riconoscere la sua storia contemporanea: da Adamo Boari a Ciro Contini, da Bassani e Antonioni e anche Vancini. Ignorare così palesemente un patrimonio di cultura contemporanea di questa ricchezza è veramente sconcertante. Sarebbe bastato in fondo un Museo della Città, caso mai legato ad un Urban Center, come centro di informazione, formazione, e produzione di idee, visioni e progetti per la città, per fare sintesi e promozione di questo patrimonio tangibile e intangibile.
Il valore del quartiere è non tanto e non solo nella architettura “vernacolare” dell’inizio del secolo scorso ma nella qualità dei suoi spazi aperti, nei suoi viali alberati, nelle sue corti interne agli isolati residenziali. Questi tipi di spazi pubblici oggi li ritroviamo, ben valorizzati ad Amsterdam nel quartiere di Oud-Zuid, negli square Parigini, o nelle Hofe Viennesi. Gran parte di questi quartieri europei sono strutturati con differenti modalità ma quella prevalente vede un giardino al centro con prato, arbusti e alberi a servizio della comunità e dei cittadini. In alcuni casi tra l’allineamento delle case “popolari” e l’area verde pubblica ci sono dei giardini privati delimitati da siepi e alberi che rafforzano la dotazione vegetale del quartiere, come nella Siedlung Römerstadt di Francoforte. Qualcuno potrebbe obiettare e dove parcheggiamo le auto? In strada, basterebbe rendere il quartiere e i controviali di corso Isonzo una Ztl e ci sarebbero parcheggi per tutti i residenti. Mentre per i non residenti esiste già il Mof e si potrebbero prevedere altri piccoli parcheggi pubblici sui bordi del quartiere.
Questo quartiere un tempo era un presidio pubblico e le sue vicende attuali testimoniano due cose: la capacità passata di concepire e realizzare la “città pubblica”, e l’incapacità di oggi di mantenerla e gestirla. Sappiamo che per il neoliberismo imperante di sinistra e di destra la parola “pubblico” suscita prurito e irritazione, ma il quartiere Giardino se da un lato è un esempio di svendita ai privati di un bene comune di interesse sociale e patrimoniale, dall’altro evidenzia l’incapacità di mantenere in città dei presidi di uso pubblico e sociale a servizio della residenza e di verde urbano diffuso, incastrati negli interstizi della città (delle isole di calore non ne parliamo più, abbiamo risolto il problema con Cortevecchia?). Tra l’altro siamo in un’area tra le più inquinate della città, anche grazie all’ “autostrada” di corso Isonzo come ricorda la Zonari.
L’altro aspetto che non sottovaluterei è la militarizzazione del quartiere Giardino. Questa sta compiendo passi da gigante, è iniziata con lo stadio che ormai è una cittadella fortificata. Una sorta di “città proibita” che incute paura quando gli passi di fianco. In origine, l’errore fu pensare questo spazio come stadio, quando in origine al centro del quartiere si prevedeva un grande parco, e soprattutto continuare a considerarlo tale quando il calcio ha iniziato a professionalizzarsi. In molte città italiane gli stadi costruiti all’inizi del ‘900 sono collocati nel centro storico, entro le mura o nel perimetro della città antica. Erano di fatto delle attrezzature urbane concepite senza troppe preoccupazioni in relazione ai problemi dell’accessibilità e della sicurezza. Oggi gli stadi non possono più stare in città vanno spostati fuori, per l’accessibilità, per il rumore, il traffico, la sicurezza, il disagio per i residenti. È una occasione che andava colta diversi decenni fa, il non averlo fatto ci ha lasciato una “neoplasia” edilizia nel cuore della città storica, che evolve, ampliandosi o restringendosi, a seconda della serie dell’anno.
Infine, abbiamo anche il parco tra via Cassoli e via Poledrelli: uno spazio pubblico che con la sua recinzione con le punte aguzze mette i brividi. Un tempo si rifinivano i muri di separazione con i cocci di vetro rotto; ora sono ritornate le punte ottocentesche che rammentano quanto è pericoloso saltare un cancello. In altri paesi delimitano spazi di questo tipo con delle siepi molto fitte, associate ad alberi e arbusti (che nascondono, “a panino”, una rete) e che cambiano di colore a seconda delle stagioni, diventando incubatori di biodiversità. Ma poi il verde va gestito quindi meglio una militaresca e maschia delimitazione metallica.
Credo che la vicenda del quartiere Giardino, sollecitata dalla interrogazione della Zonari, possa costituire l’occasione per aprire un dibattito (sempre se a qualcuno interessa) su questo quartiere bello ma malandato, ostaggio delle auto (è l’unica zona del centro storico dove il parcheggio è libero) ricomprendendo Corso Isonzo e gli interventi senza alcun senso urbanistico che stanno realizzando nella zona del Mof, come quella piazza lastricata e alberata dei Rampari di San Paolo, con le strisce parallele di verde ormai bruciato dal sole e sempre vuota. Un progetto bizzarro perché associa minerale (la pavimentazione) e naturale (gli alberi) ma il “minerale” domina il “naturale” quando si poteva tranquillamente realizzare un piccolo “bosco” lineare sull’allineamento dei rampari, con prato, arbusti e alberi e qualche piazzola con panchine per sedersi e caso mai anche una fontana. Un progetto di vecchia concezione che non tiene in considerazione il problema del contrasto alle isole di calore e riassume tutti i nonsense di un’urbanistica retorica che guarda alle immagini ammiccanti delle riviste e che non si pone il problema dei contesti reali dove queste realizzazioni vengono calate.
*Dipartimento di Architettura Università di Ferrara – Professore ordinario di Progettazione Urbanistica – Direttore del CITERlab – Laboratorio di progettazione urbana e territoriale – Membro del Ccsi Centro di Ateneo per la Cooperazione allo Sviluppo Internazionale Unife
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